Curiosità: viaggio nel torrente Bisagno

Torrente Bisagno articolo Repubblica 30LUG2015Fonte:  Repubblica.it

La città gli scorre intorno e lui, il gigante, dorme. Il Bisagno d’estate è, dalla Foce a Brignole, quello dei cantieri sottoterra, dove le auto gli passano sopra senza pensarci.
È quello delle ruspe, della pulizia attesa da anni e finalmente arrivata in questo luglio rovente con i temporali incombenti, a Borgo Incrociati, dove al torrente si guarda ancora, inevitabilmente, con sospetto: «Fa paura, c’è poco da fare – racconta Giorgio Olcese, l’edicolante di via Canevari – Ora cerchiamo di non pensarci, ma poi arriva l’autunno…».

Poi ci sono i quartieri che risalgono la valle, e il greto diventa terra, piccoli crateri scavati dall’acqua invernale, sterpaglie, uccelli e cinghiali in cerca di cibo.

C’è ma anche quando non si vede. L’acqua c’è, anche quando non si vede: è in profondità, nelle falde. Il Bisagno d’estate normalmente è un greto secco e sembra impossibile possa trasformarsi nel mostro che invade la città. Eppure il nostro è un viaggio a ritroso – fino al punto in cui tutto ha origine – e ritorno. «Ferma qui la macchina», dice, arrivati in cima, Giordano Bruschi, colonna della storia e della politica genovese, decano del Pci, ma anche grande conoscitore del Bisagno, autore di libri e fonte inesauribile di aneddoti.

Accostiamo sulla Statale Genova-Bargagli in località La Presa e ci affacciamo dal ponte: eccola l’acqua del Bisagno, le cascatelle, le pozze, i pesci. È, appunto la presa, «dove si uniscono i torrenti Lentro e Bargaglino dando origine al Bisagno, che letteralmente significa “bis amnis”, due fiumi – racconta Bruschi – Una volta in queste acque limpide i ragazzi di Genova imparavano a nuotare. Oggi è il luogo dove l’acquedotto incanala l’acqua ed è anche per questo che più a valle, da Prato a Struppa fino a Brignole, di acqua sul greto non se ne vede».

L’acquedotto. In mezzo a tutto questo verde estivo c’è il volto bucolico e “gentile” del fiume, che si tende a scordare ma ancora oggi disseta la città, insieme alle altre fonti e nuove riserve idriche: «Ed è una storia troppo importante per essere dimenticata – continua Bruschi, che intanto ci ha portato più giù, lungo via Struppa, al Giro del Fullo – Oggi si tende a pensare al torrente solo come un rischio, perché la cementificazione e le grandi piogge lo trasformano. Ma è anche una risorsa, è stata quella che ha fatto di Genova una grande città del Mediterraneo. È una storia che inizia 2 mila anni fa, proprio qui al Giro del Fullo: ai tempi c’era un lago e qui i romani, come indennizzo per le distruzioni che aveva portato la guerra con Cartagine, cominciarono a costruire l’acquedotto». Un’opera imponente che fece grande la città, proseguita nel ‘600 da giganti dell’architettura come Carlo Barabino, «e oggi parte di quell’impianto, con i suoi magnifici ponti, è ancora utilizzato: è l’unico acquedotto seicentesco in funzione, dovremmo farcene vanto», prosegue Bruschi sfogliando le pagine della memoria e dei vecchi libri che ha portato per l’occasione, con foto e poesie dedicate nei secoli al Bisagno. «Del resto è impossibile dimenticare questa storia, ci sono i segni e la toponomastica in città a ricordarla – aggiunge – Dalle arcate di Sottoripa, quelle dell’acquedotto su cui poi sono stati costruiti i portici, ai vari vicoli “dei Cannoni”, che erano i tubi che portavano l’acqua fino ai quartieri poveri, poi raccolta dalle camalle d’egua ».

Le bocce (e non solo). C’è tanto da imparare sulle sponde del Bisagno. E poi da osservare. Perché quell’alveo secco a ben guardare anche quando sembrerebbe non è senza vita : basta affacciarsi. A San Gottardo, lungo via Emilia, c’è una piccola scala che scende. E, all’ombra di un grande albero, c’è ancora un campo da bocce nel greto, qui da decenni, che le piene non hanno mai spazzato via: e ogni anno, in questa stagione, riemerge. Gli anziani del quartiere, che lo popolano quasi ogni giorno, da buoni genovesi riservati preferiscono non raccontarsi. Ma eccola, la vita estiva nel letto del Bisagno: ci sono loro, con le seggioline di plastica e un orologio da muro appeso all’albero a tenere il tempo, anche se qui sembra essersi fermato. Sembra fermo da quando – è ancora Bruschi a mostrare la foto storica – il greto fu popolato dagli scioperanti edili, per un’assemblea nel 1906.